Mario Tamponi Zurück
Il ragnetto di casa e la commozione di Günter Grass Una mattina, scrutando il cielo grigio oltre i vetri di casa, mi ha colpito tra la finestra e le piante antistanti un puntino mobile. Fissandolo attentamente vi ho intravisto un ragnetto scuro, minuscolo quanto dinamico. Sembrava sospeso nell’aria, ma c’era da supporre che scorresse su qualche filo sottilissimo, invisibile anche perchè controluce. Ho capito che stava costruendo una nuova tela ed era nella fase iniziale del progetto ingegneristico. Strizzando gli occhi per metterli a fuoco ho individuato accanto all’ingegnere tre grumi lattiginosi della sua stessa grandezza, sospesi in orizzontale a distanza regolare; il ragnetto li ispezionava alternativamente come se fossero la base materiale del cantiere. Avviando poi il lavoro di costruzione si calava da uno dei grumi verso il basso e poi ritornando sui suoi passi si spostava verso l’alto, probabilmente trascinando il filo per me sempre invisibile. Non si capiva se il grumo fosse una specie di mastice o resina collosa preparata preventivamente e che ora il ragnetto tirando trasformava in filo oppure se fosse già un gomitolo che si srotolava secondo il bisogno. Non si capiva neppure se il ragnetto camminasse sul filo di un preesistente traliccio provvisorio oppure se si muovesse acrobaticamente sul filo che lui stesso via via sgomitolava prima ancora che venisse allacciato a un qualche sostegno. Gli spostamenti erano veloci; lo si percepiva dal tratto percorso e dall’agitarsi convulso delle zampette anteriori. Ed era irresistibile, fluido, continuo anche negli scatti per le varie inversioni di marcia, senza concedersi pausa per riprendere fiato. Dal grumo a volte scendeva e saliva interamente in verticale, altre volte interrompeva la verticalità a metà o a un terzo o a due terzi per continuare in obliquo secondo un preciso angolo acuto. Il ritorno verso il grumo di rifornimento non era mai a vuoto, ma continuava a distendervi il filo seguendo un sentiero parallelo rispetto a quello di andata. Impossibile una tecnica analoga negli edili del genere umano che, frazionati in una miriade di specializzazioni, riportano prima in bozzetti su carta competenze di trigonometria, matematica e statica! Quelle competenze il ragnetto le praticava senza carta, esitazione e consultazione, con la memoria lucida del già fatto e la previsione esatta del da fare, senza la visione spaziale dell‘intera struttura finita e delle parti mancanti. Il collaudo non lo rimandava alla conclusione di ogni fase o dell’intero progetto, ma lo effettuava già nello svolgersi della sua attività costruttiva con la fusione, ignota agli umani, di teorico, progettista tecnico e operaio. Senza interruzione il lavoro si è prolungato poi come tutto d’un pezzo nell’intreccio del filo mediante dodecagoni regolari con lati più estesi con l’allontanarsi dal centro, cioè dall’ultimo grumo, provvisto del materiale ancora necessario. Calcolando la differente frequentazione del ragnetto su fili di zone diverse si intuiva che provvedeva a rafforzare l‘area centrale, destinata a sopportare pesi e scossoni maggiori rispetto alla periferia. Il tutto si è concluso in meno di un’ora, quando il costruttore si è ritirato sulla crosticina rimasta dell’ultimo grumo, quello centrale, come su una seggiolina a dondolo, forse per riposarsi finalmente e godersi lo spettacolo. Quando più tardi ci sono ritornato non c’era più; era scomparso anche il dondolo. Sicuramente il ragnetto era andato a rintanarsi altrove per sottrarsi alla vista delle prede auspicate… e di predatori o intrusi come il sottoscritto; forse mi aveva avvistato durante i lavori e facendo finta di nulla aveva preferito continuarli sotto rischio. Quatto quatto disponeva ormai di tantissimi giorni e notti in attesa del colpo di fortuna; una mosca gli sarebbe bastata per la sopravvivenza di un mese e più. Ma quanto era stupido misurare il suo tempo col mio! Insondabili erano per me i suoi tempi, le categorie del suo esistere. Non dubitavo però che la ragnatela l‘avesse fatta anche per me, per sbigottirmi. Un capolavoro così audace, visto da vicino, bastava per la conversione di una vita, la mia. A quel ragnetto nascosto avrei voluto esprimere la mia riconoscenza fornendogli un moscerino fresco al giorno. Ma perchè sacrificare per le meraviglie del ragnetto moscerini presumibilmente dotati e capaci di meraviglie analoghe! Se il ragnetto fosse vegetariano avrei potuto ricompensarlo senza scrupoli. Un pomeriggio afoso di qualche settimana dopo lo spettacolo della ragnatela mi infastidiva in cucina il ronzio assillante di una vespa. Dopo averle più volte indicato lo spiraglio aperto della finestra senza essere capito, l’ho centrata per stordirla con un moderato colpo di ventaglio. Mi accingevo a raccoglierla dal pavimento priva di sensi per buttarla fuori quando un ragnetto grigiastro, spuntato da chissà quale fessura sotto l‘armadio, si è precipitato sul volatile, immobile nel suo splendore; e con frenetica rapidità ha cominciato ad avvolgerlo con un filo che estraeva interminabile dal suo corpicino. Quando la vespa ha accennato a dare segni di vita agitando ali e zampette, il ragnetto ha accelerato l’operazione, ma col massimo della cautela. Finchè, ripreso vigore, la vespa è riuscita a liberarsi e scappare con virate incerte mentre il ragnetto rientrava frustrato nel suo nascondiglio. La loro lotta mi aveva incuriosito ma non divertito; in un anfiteatro da gladiatori non avrei abbassato il pollice per nessuno dei due. Dato che non uccido nè mi sbarazzo mai dei ragnetti che incontro, significa che a casa dovrebbero essere in molti a farmi compagnia, invisibili e discreti. Quando scopro qualche ragnatela e chiedendogli scusa la distruggo, suppongo che continueranno a costruirne delle nuove. E fanno bene a non soffocare l’arte che esprimono con tanta maestria! Lo stupore della ragnatela vista nascere in diretta l’ho confidato a qualche amico per sentirmi ripetere le solite cose: i ragni agirebbero per istinto, per determinismo genetico, per dinamiche evoluzionistiche. Io penso che sarebbe saggio rinunciare alle fughe mentali nelle abituali parole magiche – come „natura“ – che al più catalogano i fenomeni senza spiegarli. Più logica sarebbe l’umiltà di riconoscere la nostra pochezza e lasciarci commuovere dalla magnificenza che ci sovrasta e avvolge. Una volta in un colloquio confidenziale sulla trascendenza Günter Grass mi ha confessato il suo turbamento religioso di fronte al numero pressochè infinito delle meraviglie del nostro mondo. Moltissime sfilano davanti al nostro sguardo distratto, ma molte di più restano irraggiungibili in luoghi lontani, inesplorabili, per darci l’opportunità di immaginarle sommariamente e di credere reale l’impossibile. Grass me l‘ha sussurrato con una penetrante, contagiosa emozione negli occhi, dimenticando di essere pubblicamente annoverato tra i personaggi di spirito rigorosamente laico. In effetti chissà quanti miliardi di ragnetti, come quello della mia esperienza, vivono oggi nel nostro mondo, chissà quanti miliardi di esserini analoghi e di tantissimo altro, chissà quanti miliardi di miliardi di meraviglie e individualità! Mario Tamponi